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domenica 6 novembre 2011

Gabriele D'annunzio "La pioggia nel pineto"


Taci. Su le soglie
del bosco non odo
parole che dici
umane; ma odo
parole più nuove 

che parlano gocciole e foglie lontane. 
Ascolta. Piove
dalle nuvole sparse.
Piove su le tamerici

salmastre ed arse,
piove su i pini
scagliosi ed irti,
piove su i mirti

divini, 
su le ginestre fulgenti
di fiori accolti,
su i ginepri folti
di coccole aulenti,
piove su i nostri volti

silvani,
piove su le nostre mani
ignude,
su i nostri vestimenti

leggeri,
su i freschi pensieri
che l'anima schiude
novella,
su la favola bella
che ieri t'illuse, 

che oggi m'illude,
o Ermione.



Odi? La pioggia cade
su la solitaria 

verdura
con un crepitìo che dura
e varia nell'aria
secondo le fronde
più rade, men rade.
Ascolta. Risponde 

al pianto il canto 
delle cicale
che il pianto australe
non impaura,
né il ciel cinerino. 

E il pino
ha un suono, e il mirto
altro suono, e il ginepro
altro ancóra, stromenti
diversi sotto innumerevoli dita.
E immersi
noi siam nello spirto
silvestre,
d'arborea vita viventi;

e il tuo volto ebro
è molle di pioggia 

come una foglia,
e le tue chiome 

auliscono come
le chiare ginestre,

o creatura terrestre 
che hai nome 
Ermione.


Ascolta, ascolta. L'accordo 
delle aeree cicale
a poco a poco
più sordo

si fa sotto il pianto
che cresce;
ma un canto vi si mesce 

più roco
che di laggiù sale, 

dall'umida ombra remota. 
Più sordo e più fioco 
s'allenta, si spegne.
Sola una nota
ancor trema, si spegne, 

risorge, trema, si spegne. 
Non s'ode voce del mare. 
Or s'ode su tutta la fronda 
crosciare
l'argentea pioggia
che monda,
il croscio che varia 

secondo la fronda
più folta, men folta. 

Ascolta.
La figlia dell'aria
è muta; ma la figlia
del limo lontana,
la rana,
canta nell'ombra più fonda,

chi sa dove, chi sa dove!
E piove su le tue ciglia, 

Ermione.


Piove su le tue ciglia nere 
sì che par tu pianga
ma di piacere; non bianca 

ma quasi fatta virente,
par da scorza tu esca.
E tutta la vita è in noi fresca 
aulente,
il cuor nel petto è come pèsca 

intatta,
tra le pàlpebre gli occhi
son come polle tra l'erbe,
i denti negli alvèoli
son come mandorle acerbe. 

E andiam di fratta in fratta,
or congiunti or disciolti
(e il verde vigor rude
ci allaccia i mallèoli
c'intrica i ginocchi)
chi sa dove, chi sa dove! 

E piove su i nostri volti 
silvani,
piove sulle nostre mani 
ignude,
su i nostri vestimenti 
leggeri,
su i freschi pensieri 
che l'anima schiude 
novella,
su la favola bella 
che ieri 
m'illuse,che oggi t'illude,
o Ermione. 

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