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lunedì 21 novembre 2011

Giovanni Pascoli:"La mia sera"



Giovanni Pascoli, "La mia sera"

Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c'è un breve gre gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera! 
Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell'aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell'umida sera.
E', quella infinita tempesta,
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d'oro.
O stanco dolore, riposa!
La nube nel giorno più nera
fu quella che vedo più rosa
nell'ultima sera.
Che voli di rondini intorno!
Che gridi nell'aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l'ebbero intera.
Nè io ... che voli, che gridi,
mia limpida sera!
Don ... Don ... E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano, 
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra ...
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch'io torni com'era ...
sentivo mia madre ... poi nulla ...
sul far della sera.

La poesia , tratta dai canti di Castelvecchio,è composta da 5 strofe,
 le quali terminano tutte con la parola “sera”, a loro volta le 5 strofe
sono costituite da 8 versi di cui 7 novenari e l’ultime sono senari.

Le immagini di quotidianità campestre, il tono colloquiale – a volte quasi dimesso –, l'abbondanza di esclamazioni e sospensioni non devono ingannare: La mia sera è poesia di solida e sapiente costruzione – oltreché di musicalità straordinaria –, e di ragguardevole sostanza spirituale. La «tenebra azzurra» dell'ultima strofa è infatti, credo, il suggello teologico di un'intuizione complessiva che abbraccia la profonda, indissolubile unità delle opposizioni che percorrono il mondo naturale e umano, che unifica la pluralità degli spazi e degli elementi, delle percezioni e delle emozioni, dei sentimenti e dei ricordi.
I due versi con cui si apre la poesia sono il resoconto, semplice fino all'infantile, di una giornata di tempesta che a sera volge al sereno; ma già il terzo verso, con l'anafora di «stelle», solennemente aggettivate «tacite», segna un netto cambio di registro: subentra come una voce “anziana” – o perlomeno “matura” –, che, tra le altre cose, ci comunica che dietro l'apparente priorità del visivo è la percezione uditiva a giocare nel componimento il ruolo fondamentale (lo conferma, inequivocabilmente, l'ultima strofa). 

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